Atmospheralab.com
  • EcoMagazine
  • Chi siamo
  • Contatti
  • English
  • Menu Menu
  • Collegamento a Instagram
  • Collegamento a Facebook
  • Collegamento a X
  • Collegamento a LinkedIn
  • Collegamento a Youtube
Sei in: Home1 / Riciclare le fibre tessili2 / Moda3 / Riciclare le fibre tessili

Riciclare le fibre tessili

Il lento contributo della Moda nella lotta al cambiamento climatico

13/05/2024

Il mondo della moda nel 2024

Il 2024 segna il nono giro di boa nella faticosissima regata verso la neutralità climatica: il 2030 è ormai alle porte e con esso lo spoglio delle ambiziose missioni sottoscritte dai 193 paesi membri dell’ONU, tra le quali la riduzione delle disuguaglianze e la lotta contro il cambiamento climatico.

Tutte le aziende di tutti settori, dalle estrazioni alle lavorazioni, passando dalle produzioni ai rifornimenti, fino alle vendite, hanno affrontato almeno una volta il capitolo della transizione ecologica: a che punto è, in questo viaggio, il mondo della moda? È possibile un compromesso tra la frenesia dell’acquisto dovuta all’indotto bisogno di rinnovare l’armadio, e la durabilità dei capi sostenuta invece da una visione più green? Se è vero che si tratta di uno dei settori economicamente trainanti, è altrettanto vero che, per avere una maggiore vicinanza ai consumatori, si è dovuto adattare alle sempre più stringenti indicazioni del mercato con forti tendenze dirette alle strategie del green.

Nel nostro Paese, infatti, i presupposti per supportare la circolarità delle fibre tessili sono stati definiti con il Decreto Legislativo 116/2020, con il quale è stato stabilito l’obbligo di suddivisione del rifiuto tessile dal restante scarto domestico a partire dal 2022. Il nostro Paese appare piuttosto virtuoso nel dare una seconda vita ai capi di abbigliamento: già nel 2020, il 73% dei Comuni Italiani ha introdotto sistemi di raccolta della frazione tessile.

Ci ricorda Silvia Gambi, giornalista di Prato e più grande distretto tessile d’Europa, che l’industria dell’abbigliamento è considerata tra i più inquinanti, in particolare per il consumo di acqua e il rilascio di microplastiche nell’ambiente, ma è anche quello con il più alto potenziale di circolarità: “Nel 2020, il consumo di tessili in Europa si è posizionato al quarto posto tra le industrie di maggiore impatto sull’ambiente e sui cambiamenti climatici.” 

Per comprendere la portata del settore è opportuno specificarne i numeri: nel continente Europeo ogni individuo compra in media 26kg di prodotti tessili e ne smaltisce circa 11kg nell’arco di un anno. Questi numeri sono espressione di un ciclo vizioso che si compone di un eccessivo sfruttamento di risorse e un’incontenibile produzione di emissioni, considerando l’intero life cycle di un prodotto.

Evidenze di sovrapproduzione 

In alcune video-testimonianze girate nel 2021 in un progetto del British Fashion Council, racchiuse in un documentario dal titolo Generation  Rewear, si stima che con i capi di abbigliamento, scarpe e accessori attualmente esistenti, si potrebbero vestire le prossime sei generazioni. 

La quantità di indumenti prodotti supera di gran lunga la domanda dei consumatori e ci ha spinto alle porte di un interminabile ciclo di necessità indotte. Abbiamo davvero bisogno di quel nuovo maglione? Di quella nuova giacca? Di quel nuovo paio di jeans?

Crediti Immagine @CONSCYOU

Di fronte alla rapidità con la quale vengono inserite le nuove collezioni ed eliminate le vecchie, infatti, siamo portati in prima persona ad un adeguamento, che risulta in una sostituzione di quello che possediamo con le novità immesse nel mercato. Diverse le ragioni — stare al passo con la tendenza, massimizzare il piacere di fare qualcosa per sé stessi, rinforzare un bisogno di affiliazione allontanando un sentimento di solitudine, — ma un unico risultato. La sfrenata sovrapproduzione di indumenti e l’eterna questione del loro smaltimento al fine vita. 

La rapidità del ricambio delle micro-collezioni e la frenesia della produzione per soddisfare la costante voglia di novità, hanno condotto ad un importante accumulo di rifiuti, con innegabili evidenze di fronte alle immagini delle spiagge della città di Accra, capitale del Ghana, dove giacciono sepolte tonnellate di vestiti usati, ormai sprofondate nella sabbia per metri. 

Non è più corretto riferire i vizi di questo mercato alla sola fast fashion: il dominio e il controllo di questo settore è ormai nelle mani dell’ultra fast fashion. Il gigante del settore in questione è un rinomatissimo colosso cinese, che gode di estrema notorietà soprattutto grazie ai social e ai prezzi alla portata di tutti. È dall’idea del fondatore di “rendere la bellezza accessibile a tutti” che si propaga l’idea di un acquisto smodato e continuativo, alla base del nostro comprare senza avere un reale bisogno da soddisfare.

La moda veloce è il sintomo palese di una malattia sociale legata ad un’accelerazione a noi intrinseca, ereditata da un secolo di innovazioni, di rapidità e frenetica velocizzazione dei processi (vedi anche: Il diritto alla lentezza).

Il Riciclo delle fibre tessili 

Bisogna ribadirlo, compriamo di più rispetto al passato, è un dato incontrovertibile. Ma non compriamo abbastanza rispetto a quello che viene prodotto, e questo gap tra domanda e offerta produce ogni anno circa 11 milioni di tonnellate di rifiuti tessili. 

Secondo i dati pubblicati dall’agenzia statunitense per la protezione ambientale (EPA), sarebbe solo il 14,7 percento degli scarti tessili ad essere riciclato. A sottolineare la fragilità di questo sistema è il valore percentuale inverso rispetto a quello sopracitato: per abbattere i costi di smaltimento, molte aziende decidono di termovalorizzare grossi quantitativi del loro dead-stock o, detto più semplicemente, di incenerire lo stock invenduto. 

L’unica forma di riciclo naturale è il compostaggio, che consiste nel tentativo di separazione delle fibre sintetiche da quelle organiche sfruttando il processo di degradazione messo in atto da funghi e batteri, dando vita ad un fertilizzante. Un’altra tecnica di riciclaggio delle fibre è la separazione meccanica delle stesse, dalla quale si recuperano nuove fibre sciolte per formare un nuovo filato.

Molto spesso il riciclo delle fibre tessili scartate incontra grossi limiti legati alla separazione dei tessuti multimateriale, e all’impatto che può generare questa pratica: un potenziale bilancio di sostenibilità sarebbe comunque a favore di tecniche di riciclo come la pirolisi anziché della termovalorizzazione o dello smaltimento in discariche all’aperto. La pirolisi permette infatti di ripolimerizzare i monomeri separati dalla rottura della struttura polimerica della fibra, ottenuta dal processo termico.

In conclusione, al primo posto tra le abitudini che richiamano un modello il più possibile sano ed etico per l’ambiente e per l’economia, vi è la riduzione degli acquisti: un radicale cambio di paradigma che insegnerebbe ad acquistare solo ciò di cui si ha bisogno, evitando grossi sperperi di energia e di risorse. Alla riduzione segue la riparazione di indumenti, scarpe e accessori, che potrebbe far diventare la fast fashion una cosa del passato.

  • Condividi su Facebook
  • Condividi su X
  • Condividi su WhatsApp
  • Condividi su LinkedIn
  • Collegamento a Instagram
  • Collegamento a Youtube
Marianna Cisotto

Laureata in Scienze Ambientali e studentessa di Environmental Humanities presso Ca’ Foscari. Appassionata di ambiente, di innovazione e di comunicazione.

Altri articoli

Stagionalità e produzione locale: il sistema di produzione alternativo dell’Alveare che dice Sì!
  • Scienza e Ambiente

Stagionalità e produzione locale: il sistema di produzione alternativo dell’Alveare che dice Sì!

14/02/2025
Una maglia di calcio color laguna: la partnership tra Ocean Space e Venezia FC
  • Arte

Una maglia di calcio color laguna: la partnership tra Ocean Space e Venezia FC

15/01/2025
Plastica in spiaggia: rifiuto o reperto?
  • Società e costumi

Plastica in spiaggia: rifiuto o reperto?

06/11/2024
Partecipazione attiv(ist)a
  • Società e costumi

Partecipazione attiv(ist)a

14/10/2024
La Sfida dei Gas Serra
  • Società e costumi

La Sfida dei Gas Serra

07/10/2024
Il pericolo dell’ecofascismo
  • Società e costumi

Il pericolo dell’ecofascismo

23/09/2024

Pagine

  • Atmosphera lab
  • Chi siamo
  • Contatti
  • EcoMagazine

Categorie

  • Agricoltura
  • Alimentazione e cucina
  • Animali
  • Architettura e design
  • Arte
  • Attività quotidiane
  • Economia
  • Energia
  • Mobilità e Turismo
  • Moda
  • Scienza e Ambiente
  • Società e costumi

Archivio

  • Febbraio 2025
  • Gennaio 2025
  • Novembre 2024
  • Ottobre 2024
  • Settembre 2024
  • Luglio 2024
  • Giugno 2024
  • Maggio 2024
  • Aprile 2024
  • Marzo 2024
  • Febbraio 2024
  • Gennaio 2024
  • Dicembre 2023
  • Novembre 2023
  • Ottobre 2023
  • Settembre 2023
  • Agosto 2023
  • Luglio 2023
  • Giugno 2023
  • Maggio 2023
  • Aprile 2023
  • Marzo 2023
  • Febbraio 2023
  • Gennaio 2023
  • Dicembre 2021
  • Novembre 2021
  • Ottobre 2021
  • Agosto 2021
  • Luglio 2021
  • Giugno 2021
  • Maggio 2021
  • Aprile 2021
  • Marzo 2021
  • Febbraio 2021
  • Gennaio 2021
  • Dicembre 2020
  • Novembre 2020
  • Ottobre 2020
  • Settembre 2020

INFO

  • Chi siamo
  • Contatti
  • Privacy Policy
  • Mappa del sito

ARTICOLI RECENTI

  • Stagionalità e produzione locale: il sistema di produzione alternativo dell’Alveare che dice Sì!
  • Una maglia di calcio color laguna: la partnership tra Ocean Space e Venezia FC
  • Plastica in spiaggia: rifiuto o reperto?

CONTATTI

atmospheralab@gmail.com

© Copyright 2020 - Atmosphera lab - Developed by Matteo Bazzani
  • Collegamento a Instagram
  • Collegamento a Facebook
  • Collegamento a X
  • Collegamento a LinkedIn
  • Collegamento a Youtube
Scorrere verso l’alto Scorrere verso l’alto Scorrere verso l’alto