Il diritto alla lentezza

Combattere l’incalzante crisi climatica ridimensionando il ritmo

Viviamo accelerati

Gli inizi del Novecento ci hanno consegnato i manifesti futuristi, precursori della globalizzazione e promotori dell’iconica venerazione del dinamismo simboleggiata dall’automobile, il tanto idolatrato emblema della velocità. Nell’articolare il movimento, i futuristi esaltavano e idealizzavano la velocità, visibile nella deformazione delle immagini, sostanzialmente contrapposta alla corrente del Cubismo, al contrario, interessato alla percezione del tempo lento, mediato dall’osservazione.

Oggi possiamo affermare di essere gli eredi di quel concetto di velocità Novecentesco che, più o meno consapevolmente, pratichiamo nella nostra quotidianità.

È evidente il legame tra lo stile di vita dell’uomo del XXI secolo e le preoccupanti condizioni in cui versa il Pianeta: mettiamo in atto un consumo di risorse che non permette la rigenerazione delle stesse, che sta portando all’indebolimento della resilienza della Terra, alla distruzione ecosistemica e alla perdita di preziosa biodiversità, per citarne alcuni. Occhi coscienziosi non potranno fare a meno di notare gli inneschi di tale corsa alla crescita, oggi nota come Grande Accelerazione”.

La Grande Accelerazione

Parole come crescita, aumento, ripresa, sono parole che ci rassicurano. Associate a un singolo individuo sono solitamente riconosciute come caratteri confortanti del suo sviluppo. La stessa associazione viene esplicitata a livello di Stato: è qui che si manifesta il bias di linguaggio che ha accompagnato la crescita economica sfrenata e il mito del Prodotto Interno Lordo, simbolo di competizione tra le Nazioni più sviluppate (o, per meglio dire, più “veloci”).

La “Grande Accelerazione” riassume una grossa fetta di fattori socioeconomici e ambientali oggetto di un’enorme spinta verso l’alto, comunemente riferita al paradigma della velocità, un’accelerazione appunto.

«Viviamo accelerati» – diceva il sociologo e politologo Hartmunt Rosa (2015) – resistiamo all’ormai obsoleto pensiero di “lentezza”, comunemente ed erroneamente associato a pigrizia e svogliatezza, per il quale viene meno una fondamentale contestualizzazione e valorizzazione in un mondo la cui essenza e splendore si fondano su tempi di realizzazione di decine di migliaia di anni.

Figura 1: W. Steffen, et al., « The trajectory of the Anthropocene: The Great Acceleration »

Il carburante della velocità: i combustibili fossili

La crescita demografica ed economica, l’espansione urbana, il consumismo e i livelli di benessere hanno un denominatore comune: i combustibili fossili. Queste sostanze millenarie di cui l’uomo si è rivelato l’animale più ghiotto sono risorse non rinnovabili, e, pertanto, soggette all’esaurimento. Appartengono al pacchetto dei servizi ecosistemici del suolo il cui ruolo è messo in serio pericolo dall’impoverimento delle componenti.

Così come dall’interno di un edificio è difficile percepirne gli spazi e i confini, è altrettanto difficile per noi fautori-fruitori della Grande Accelerazione, comprenderne le implicazioni a priori. A partire da questa tesi, lo sforzo di ribaltarne le previsioni è orientato al ripensamento dell’attuale modello di sviluppo, per uscire dagli schemi ormai statici e anacronistici offerti dal business as usual.

Dagli Anni 70 viviamo una condizione di debito con la Terra, il cosiddetto overshooting: il risultato di un sistema costruito sulla triade di produzione, consumo e scarto, al quale è indispensabile rispondere al più presto con una revisione dei ritmi (vedi anche: Ecosistemi e società. I presupposti per un pensiero sostenibile).

VenTo – contrastare la crisi climatica su due ruote

Ripensare la mobilità è qualcosa che da anni si cerca di riproporre in chiave sostenibile con veicoli elettrici o motori a idrogeno, tuttavia sempre nell’ottica di una vita accelerata, alla disperata rincorsa della crescita, incontrollata e insostenibile (vedi anche: Car Sharing: come reinventare il modo di viaggiare).

Il Progetto VEnTO vede la luce grazie ad una nuova visione. Nato nel 2010 presso il Politecnico di Milano, è la proposta di una ripartenza e ha la forma di una ciclovia turistica che si propone di collegare Venezia a Torino, al grido di “pedalare è un atto politico!”.

Gli ideatori del progetto sostengono che VEnTO sia «da intendersi come una grande autostrada ciclabile per muovere grandi flussi di cicloturisti nelle due direzioni. Per questo, anziché autostrada, ci piace chiamarla “dorsale cicloturistica”, una infrastruttura leggera, larga almeno 3,5 metri, continua, sicura e dedicata ai ciclisti e ai pedoni».

Le già esistenti e affollate ciclopedonali d’Oltralpe che accompagnano lo spostamento di molti, suggeriscono piccoli accorgimenti che rendono questo progetto, seppur parte di un esteso parterre, unico nel suo genere: nei 705 km di svolgimento del percorso sono state identificate delle aree attrezzate alla sosta nei piccoli centri urbani che verrebbero attraversati dallo stesso. Un espediente che riporterebbe in vita i piccoli paesi grazie all’attraversamento turistico e sfrutterebbe ciò che è già presente e dotato di servizi, eliminando un fattore di ulteriore consumo di suolo; tutto ciò accompagnato da una sostanziale riduzione dei costi.

Concorre ai fini del Progetto anche la sicurezza dei cittadini-ciclisti: la separazione dei traffici vuole simboleggiare l’idea di un’altra città pubblica, dove pedoni e ciclisti non sono più entità opzionali, bensì figure protagoniste, promotori di un’idea di mobilità che permette di percepire e rispettare i ritmi del circostante, spingendo verso una realizzazione sostenibile.

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