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Holistic management

Come gli animali possono salvare il suolo dalla desertificazione

22/04/2024

Migranti climatici 

Tom e Cecilia, due ex cittadini olandesi ora spagnoli, sono diventati, nel corso delle loro vite, migranti climatici. La loro storia inizia da dei semplici pannelli solari: nel 2003 a Maastricht erano gli unici nella loro via ad avere installato questo tipo di impianto, cercando di contribuire il più possibile alla causa contro il cambiamento climatico. La loro ideologia rifletteva, si può dire, un tipo di ecologismo da città, che prevede che il singolo faccia la sua piccola parte per attutire il suo impatto sull’ambiente. Ma col tempo, la coppia si è resa conto che questo tipo di approccio era abbastanza limitato. 

In seguito a una scelta ecologica ma anche e soprattutto ideologica, nel 2013, Tom e Cecilia si sono trasferiti nella Sierra Nevada per vivere “off-grid”, a un’ora di cammino dal più vicino centro abitato: oltre ad avere avuto abbastanza della vita di città, si sono resi conto che il loro impatto come abitanti di grandi centri abitati aveva i suoi limiti e che solo effettuando scelte drastiche si poteva effettivamente modificare il proprio impatto ambientale. 

Tuttavia hanno dovuto, dopo quasi quattro anni, lasciare la loro casa senza elettricità per via dei cambiamenti che potevano constatare con i loro stessi occhi: estati estremamente calde e mancanza di freddo, neve e gelate d’inverno, oltre che desertificazione del terreno e mancato assorbimento dell’acqua da parte di quest’ultimo. Hanno deciso di trasferirsi nelle Asturie, appunto come migranti climatici, per rifuggire il caldo del sud della Spagna: ora vivono in un piccolo angolo di paradiso vicino al parco nazionale de Los Picos de Europa e hanno scoperto la pratica dell’holistic management e l’importanza del suolo nell’impatto ambientale, decidendo così di riqualificarlo e salvarlo dalla desertificazione.

Il problema della desertificazione

Come specifica Allan Savory, ideatore del metodo denominato “holistic management”, quasi due terzi del pianeta terra sono soggetti a desertificazione. Ma facciamo un passo indietro: perché il suolo è così importante? Il suolo, oltre a svolgere numerosissime funzioni indispensabili alla vita sul nostro pianeta e alla nostra vita come umani, ha la funzione fondamentale di immagazzinare la CO2, quando è in buone condizioni. In caso di desertificazione, questa funzione del suolo viene meno: questa enorme risorsa di stoccaggio di CO2 rimane inutilizzata e trascurata.

La vista dal Palacio de Livia di Tom e Cecilia

Sempre secondo Allan Savory, che ha dedicato la sua vita alla ricerca di una soluzione alla desertificazione, questo problema è anche più ingente e impattante dell’utilizzo di combustibili fossili: la transizione alle energie rinnovabili non sarà sufficiente per fermare il cambiamento climatico, se nel contempo non recuperiamo la fertilità del suolo.

Un cambio di paradigma

Quello che ci serve per mitigare gli effetti del cambiamento climatico è un vero e proprio cambio di paradigma. In seguito alla prima esperienza con il fotovoltaico in Olanda, Tom and Cecilia si sono concentrati sulla riduzione drastica dei consumi elettrici, decidendo poi di andare a vivere sulla Sierra Nevada in una abitazione senza rete idrica né elettricità per circa quattro anni. Ma col passare del tempo la coppia si è resa conto che il controllo dei consumi energetici non era sufficiente né abbastanza impattante: davanti ai loro occhi vedevano paesaggi sempre più aridi e stagioni sempre più calde. 

Da qui la decisione di cercare rifugio come migranti climatici nelle Asturie, nel nord della Spagna, luogo in cui si sono avvicinati a uno stile di vita che integra l’holistic management di Allan Savory. Attraverso l’acquisto di un terreno ampio e un gregge di circa 50 pecore di razza xalda, autoctone della zona, Tom e Cecilia non solo hanno cercato rifugio in zone più fresche, ma hanno anche deciso di dare un contributo più imponente per combattere il cambiamento climatico.

Ad ogni attività è dedicata attenzione e tempo

Attraverso la pratica dell’holistic management, infatti, si punta non solo alla riqualifica del suolo, ma anche al sostentamento economico: il sistema è a tutto tondo e prevede la coesione e la collaborazione di tutti i tipi di organismi occupanti la stessa area. In questo modo, tutto ciò che viene prodotto e utilizzato a Palacio de Livia – questo il nome del terreno e della dimora storica della coppia – è certificato organico e biologico.

Le regole spesso trovate sui social network – “reduce, reuse, repurpose, recycle” – qui sono applicate alla lettera: il concime viene prodotto naturalmente grazie alla stalla e agli escrementi delle pecore; questo concime va a coltivare i campi, che danno da mangiare a Tom e Cecilia. Gli scarti vengono dati alle galline, alle oche e alle papere, che a loro volta aiutano a tenere lumache e bruchi lontani dagli ortaggi. Tutti gli attori presenti sul terreno hanno una funzione.

L’holistic management, per quanto concerne la riqualificazione del terreno, prevede uno studio attento e approfondito del territorio: è infatti necessario conoscere flora e fauna autoctoni per poter calcolare lo spostamento degli animali e la divisione delle zone. Il metodo ricorda un po’ quello della rotazione delle colture: gli animali vengono lasciati in un’area delimitata e si muovono ogni paio di giorni. Il calcolo di questi spostamenti è però cruciale, perché deve tenere conto della crescita delle piante autoctone, della quantità di piante ingerita da ogni animale in un giorno, e della defecazione degli animali, che deve fertilizzare il terreno in giuste quantità. 

Animali ed etica

L’uso degli animali è un tema su cui si sofferma molto Allan Savory e che è caro anche a Tom e Cecilia. Spesso viene sollevata la questione etica; infatti, generalmente, soprattutto nell’ecologismo social dei giorni nostri, il mangiare carne viene demonizzato a priori, partendo dalla – anche giusta – cognizione che l’allevamento degli animali sia una delle cause maggiori di emissioni fossili. Parlando di allevamenti intensivi, questa concezione non è erronea. Ma secondo l’holistic management gli animali sono fondamentali per la nostra sopravvivenza.

Allan Savory parla di come lui stesso sia cresciuto con la convinzione che la desertificazione del suolo fosse causata dalla presenza e il movimento di troppi animali, ma la realtà dei fatti è ben diversa. Attraverso studi mirati e approfonditi e in seguito a una serie di errori commessi dal fondatore stesso di questo metodo, si è giunti alla conclusione che la desertificazione possa essere contrastata grazie alla ricreazione dei movimenti naturali di grandi greggi e gruppi di animali erbivori, che muovendosi in branco per tutelare la totalità del gruppo liberano il terreno dalle piante, mangiandole, e attraverso i loro escrementi preparano e fertilizzano il terreno per una nuova, rigogliosa crescita. 

Chiaramente, per Tom e Cecilia, questo significa che, di tanto in tanto, sulla tavola sarà presente carne di pecora. Però, come spiega Bobby Gill, Direttore dello Sviluppo e della Comunicazione del Savory Institute, la carne che si ottiene attraverso l’holistic management è carne che non ha prodotto emissioni di CO2, ma, al contrario, ne ha prelevate dall’atmosfera, grazie alla riqualificazione del suolo.

Olistico, nel vero senso della parola

Ho conosciuto Tom e Cecilia nelle Asturie, al Palacio de Livia a Triongo, lavorando con loro. Questa esperienza, seppur breve, mi ha dato la possibilità di comprendere l’holistic management a un livello meno teorico, ma molto pratico. Lo stile di vita di questa coppia olandese non è altro che una profonda armonia e condivisione con la natura, che porta alla reale, ancestrale conoscenza delle cose che ci circondano. Il rapporto che loro hanno con la natura circostante, le loro pecore e i loro animali in generale è un rapporto di infinito rispetto e gratitudine per il lavoro svolto, per il lavoro che ci tiene in vita. 

Quello che mi ha colpito di più è il passo indietro che Tom e Cecilia hanno compiuto rispetto alle loro vite “di città”: vivendo in mezzo all’asfalto, ai supermercati, agli uffici e ai condomini, viene molto semplice scordarsi che tutto ciò che mangiamo, tutto ciò che ci circonda fa parte di un unico sistema, che noi facciamo parte di un unico sistema, che si caratterizza a livello locale, ma che prevede la collaborazione delle varie parti per il fine ultimo della sopravvivenza e della vita stessa.

Molto spesso, anche a causa dell’influenza di grandi multinazionali e della logica capitalistica volta al guadagno infinito, si è portati a pensare che facendo la nostra piccola parte potremo effettuare un cambio di rotta e risolvere il problema del cambiamento climatico, mangiando meno carne, usando uno spazzolino di bamboo, andando in autobus o in bicicletta. Ma a volte la realtà è più complessa di così. Molto frequentemente trascuriamo elementi come il suolo, che sono fondamentali per la vita per un’infinità di motivi. 

Come ha affermato Tom durante uno dei nostri colloqui, il passaggio alle rinnovabili, ma anche la riduzione dei consumi energetici non saranno sufficienti: per una vera inversione di rotta è necessario prendere in mano tematiche molto più complesse e anche molto più difficili da gestire, anche a livello organizzativo, come la gestione del suolo, la gestione dei boschi, dell’acqua e delle varie risorse naturali. Purtroppo, queste non sono tematiche che si possono sviscerare semplicemente scegliendo prodotti biologici al supermercato. 

Una piccola nota positiva

L’argomento del cambiamento climatico è fonte di ansia e preoccupazione per milioni di persone ormai. Tematiche come l’eco-ansia sono sempre più frequentemente affrontate anche tra i banchi di scuola. Ma vorrei finire con una nota positiva. Vivere insieme a Tom e Cecilia nel contesto delle Asturie mi ha fatto realizzare quanto a volte sia distorta la visione che hanno molti cittadini rispetto al cambiamento climatico. Però mi ha dato anche molta speranza. 

Ho avuto modo di constatare che, come Tom e Cecilia, molte persone si stanno rendendo conto delle logiche fallaci del capitalismo e stanno cercando rifugio – fisico e mentale – in zone a più bassa densità abitativa, collaborando come comunità per trovare soluzioni concrete, soprattutto a livello locale. Sebbene ritenga che la risposta alla crisi climatica non sia una unica e unitaria, chiara e tangibile, credo fermamente che la strada verso il cambiamento sia da ricercare in una vera pratica olistica, ovvero in una visione onnicomprensiva dei sistemi umani e non-umani, che si basi sul rispetto reciproco e sull’amore inteso come l’avere a cuore ciò che ci dà la vita e il tutto di cui siamo parte. 

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Irene Zombolo

Laureata in Giornalismo, Cultura Editoriale e Comunicazione Multimediale, ama viaggiare e conoscere culture e lingue. È interessata alla giustizia sociale e ambientale per aumentarne la consapevolezza.

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