Il tempo e il clima

Dalla natura come scena del ricordo all’intervento della scienza sull’ambiente

Stagioni: tra cronaca naturalistica e autobiografia

Verso la fine della propria vita, lo scrittore Mario Rigoni Stern ha realizzato una sorta di autobiografia in forma di romanzo, o meglio un tentativo di sanare una lacuna grave, secondo l’autore, nei rapporti tra l’uomo e il mondo che abita. Scrive Rigoni Stern che «noi umani abbiamo la memoria corta, e chi ce la vuole ravvivare non ne ha. Pochi sono quelli che sull’agenda scrivono le temperature, le precipitazioni, i cambiamenti del clima»[1] .

Stagioni si snoda tramite un costante parallelo tra la misurazione soggettiva e oggettiva del tempo, legata in particolare alle modificazioni dell’ambiente in base al trascorrere delle stagioni, che con il loro avvicendarsi scandiscono la stessa divisione in capitoli dell’opera. Da un lato si ha la rimemorazione della vicenda personale dell’autore, legata all’attraversamento di esperienze drammatiche come quelle belliche o liete come una fanciullezza cui la stessa fatica del lavoro e dei cammini montani contribuisce a dare un aspetto edenico. Dall’altro, l’oggettivo avvicendarsi delle guerre o l’invecchiamento fisico, scanditi appunto dal passaggio delle stagioni.

Il vero protagonista del testo, si potrebbe dire, non è il narratore, quanto l’avvicendarsi ciclico dei diversi climi annuali, di cui la vicenda biografica dell’autore è piuttosto il contraltare. Tramite il racconto dell’uomo viene data voce ad animali, suoni, temperature che si susseguono sulla scena della natura, risvegliati dai diversi momenti dell’anno. 

Riflettere e agire: la storia dell’ambiente naturale in cui l’uomo vive

L’interesse di una meditazione come quella di Rigoni Stern rispetto al dibattito attuale in materia di cambiamenti climatici sta proprio nella sua inattualità. Dal confronto con essa si è infatti portati a una riflessione sul rapporto tra l’uomo, il proprio tempo e il proprio ambiente. È soprattutto opportuno sottolineare che un testo come Stagioni ci porta a cogliere come il cambiamento climatico e la ricerca scientifica sviluppatasi per far fronte a esso abbiano condotto tale relazione a cambiare radicalmente di segno.

Piuttosto che cercare il fil rouge della propria vicenda nel rapporto con la ciclicità del mondo naturale, sta ora all’uomo intervenire per modificare quella che si potrebbe chiamare la storia dell’ambiente, facendo ricorso alle più recenti tecnologie, alcune ancora in via di sviluppo. 

La cattura della CO2

Una di queste tecnologie innovative è la Direct Air Capture (DAC). Essa è una delle metodologie con cui si può catturare e rimuovere la CO2 per compensarne l’immissione nell’atmosfera. Nonostante si sia lavorato anche su metodi di separazione di gas tramite membrane, i sistemi di DAC finora più sviluppati – grazie agli sforzi delle compagnie Climeworks e Carbon Engineerig – funzionano prelevando aria dall’atmosfera e rimuovendone la CO2 tramite calore e sostanze assorbenti[2].

Questa tecnologia si prepara a diventare uno degli strumenti cardine per ottemperare agli accordi presi a Parigi, che sanciscono come l’aumento delle temperature globali debba mantenersi inferiore ai 2 gradi. Come sottolineato nei reports dell’Intergovernamental Panel on Climate Change (IPCC), infatti, un rialzo superiore agli 1,5 gradi arrecherebbe danni ingenti all’ecosistema e alla vita umana sul pianeta. [grafico IPCC]

Per evitare un tale esito, è necessario lo sviluppo di negative emission technologies. Senza negare l’importanza di una pratica come l’afforestazione, si è infatti sottolineato come sia importante procedere anche con una produzione di energie sostenibili che vada di pari passo con la cattura di CO2, ad esempio tramite il suo immagazzinamento nel suolo.

La ricerca sulla cattura della CO2 è ancora in via di sviluppo, ma potrebbe condurre a ottimi risultati tramite approcci innovativi. Gli studi in questo campo sono progrediti, nel corso degli ultimi decenni, grazie all’interessamento di grandi compagnie, anche se va rimarcato come la compensazione dei livelli di CO2 nell’atmosfera rappresenti un tema cui si è cercato di rispondere anche con delle strategie attuate a livello locale.

La ricerca in merito al modo più efficace ed economico per dare forma ad un impianto DAC ha mostrato come la scelta delle sostanze impiegate costituisca uno degli aspetti più problematico e rilevanti, perché esse influiscono sulla sua estensione, nonché sul suo fabbisogno energetico. Tali due questioni – l’estensione dell’area richiesta, l’uso di energia – sono tra le più problematiche rispetto all’imporsi della tecnologia DAC, assieme ai costi, particolarmente elevati trattandosi di un sistema ancora in via di sviluppo. 

Interessarsi alle tecnologie per l’assorbimento di anidride carbonica dall’atmosfera significa quindi, da un lato, sporgersi in avanti verso lo sviluppo di tecnologie innovative per il futuro dell’ambiente. Dall’altro lato, il divenire di queste tecnologie si ritrova ad affrontare difficoltà di ordine amministrativo ed economico radicate in quel passato della cui politica ambientale tali innovazioni devono compensare gli effetti. 

La fecondità euristica delle sfide tecnologiche al cambiamento climatico

Le forme di antropizzazione dell’ambiente che emergono dalle pagine di Rigoni Stern – coincidente con il lavoro agricolo, la caccia, la guerra – ­non introducono in realtà un elemento di disturbo nel rapporto tra uomo e natura.

Proprio perché un uomo possa narrare a se stesso la propria storia raccontando i climi delle regioni che ha attraversato, si richiede una certa mancata tematizzazione della relazione con l’ambiente: descriverlo non significa rapportarsi allo sfondo su cui si staglia una vicenda, ma far parlare attraverso le proprie parole una realtà vivente, che non si esaurisce nello spazio della nostra relazione con essa.

Di necessità, la lotta al cambiamento climatico ha richiesto all’uomo di porre a tema la propria relazione con la natura, per questionare e ripensare i termini in cui questa relazione ha avuto luogo, dati gli esiti precari e pericolosi che ne sono sorti. Un’innovazione come quella corrispondente allo sviluppo delle tecnologie per la Direct Air Capture, oltre a costituire un’importante sfida da un punto di vista scientifico, ci esorta a una riflessione sul rapporto dell’uomo con il proprio ambiente. L’impegno della scienza è diretto verso la riscrittura della storia climatica, permessa da una tecnologia che, come quella in questione, cerca di consentire un ritorno all’indietro. Lo scopo della tecnologia DAC è infatti quello, assai arduo, di «ripristinare il clima terrestre ai livelli precedenti la rivoluzione industriale»[3].

[1] M. Rigoni Stern, Stagioni, Torino, Einaudi, 2006. 

[2] Current status and pillars of direct air capture technologies – ScienceDirect, p. 4. 

[3] Current status and pillars of direct air capture technologies – ScienceDirect, p. 7; trad. nostra. 

Link di approfondimento: Direct Air Capture – Analysis – IEA

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