Le conseguenze ambientali dell’industria della pelle
L’universo degli oggetti che ci circondano e dello spazio che abitiamo hanno una storia che spesso ignoriamo. La storia di quel che indossiamo, e che ci consente di giocare il nostro ruolo nella società, è una storia di produzione che coinvolge più settori.
La narrazione di un paio di scarpe con le quali solchiamo le strade del mondo parte dal capo di bestiame che fornisce, suo malgrado, il pellame necessario, legandosi al settore dell’allevamento e delle colture destinate adesso.
Comprare un capo di abbigliamento fatto in pelle ha lo stesso peso sull’ambiente del mangiare una bistecca, dal momento che l’industria conciaria è una conseguenza diretta dell’allevamento animale.
Per certi versi sembra che l’industria conciaria possa offrire una soluzione ecologica allo smaltimento dei rifiuti da allevamento riutilizzando lo scarto, ma è chiaramente una soluzione che ha poco di ecologico.
L’industria conciaria non utilizza la totalità dei rifiuti da allevamento. La pelle vene selezionata, e vengono utilizzati solo poche tipologie di pelle animale.
In particolare, ad essere utilizzata è la pelle bovina, proveniente da settore dell’allevamento che è causa del più alto tasso di inquinamento e cambiamento del paesaggio.
Sostenere l’allevamento animale significa accettare implicitamente l’eliminazione della biodiversità, non solo per il grado di inquinamento emesso in termini di gas serra ed errato smaltimento dei rifiuti industriali, spesso rilasciati liberamente nell’ambiente;
l’allevamento bovino determina un irreversibile cambiamento del paesaggio per via dell’ampio spazio destinato agli allevamenti intensivi, la cui riduzione dello spazio vitale dell’animale non garantisce un ridotto sfruttamento del territorio.
Interi territori pullulanti di vita vengono destinati all’agricoltura, la quale destina il 70% dei raccolti proprio all’allevamento intensivo.
Dal canto suo la lavorazione della pelle è responsabile di un alto tasso di inquinamento dovuto ai necessari processi chimici di conciatura e produzione dei tagli necessari ai singoli capi d’abbigliamento.
L’abbattimento dei costi di produzione comporta la delocalizzazione delle industrie in paesi in via di sviluppo dove i bassi controlli e azzardate misure di smaltimento mettono a repentaglio la salute dei lavoratori di settore.
Vestiamo una nuova pelle
Nell’industria della moda negli ultimi anni sta spopolando l’utilizzo di alternative vegetali, nello specifico vegane, alla pelle animale.
L’accesso ad accessori con marchio vegan è sicuramente migliorato nell’ultima decade, grazie all’utilizzo dell’e-commerce che apre le porte ad un acquisto immediato.
Le alternative alla pelle animale sono moltissime ed è stupefacente il lavoro di ricerca che si cela dietro tali prodotti, che non solo consentono di non sfruttare alcun prodotto animale, persino la colla, ma garantiscono una produzione etica a tutto tondo.
Sono sempre più numerose le aziende che ricorrono ad alternative ruelty-free ed eco-compatibile alla pelle animale, che producono accessori di origine del tutto vegetale e che garantiscono uno smaltimento semplice, sicuro e dal basso impatto ambientale.
Diversi produttori italiani sono coinvolte nella rivoluzione vegana dei tessuto, come l’altoatesino Alberto Volcan, produttore della pellemela, un tessuto ad alta resistenza prodotto dalla lavorazione di bucce e torsolo di mela essiccati, o l’azienda milanese Vegea che ha messo sul mercato abiti ed accessori realizzati dalla lavorazione delle vinacce.
La moda del cactus
Una delle invenzioni di design che più ha attirato l’attenzione di investitori internazionali è stata la pelle di cactus nata in Messico ad opera del brand Desserto.
Adrián López Velarde e Marte Cazárez hanno utilizzato una pianta simbolo del Messico, la cui coltivazione richiede un ridotto sfruttamento del territorio e delle risorse idriche.
La pelle di Desserto è a basso impatto ambientale e totalmente vegetale, nonché biodegradabile.
Nella regione di Zacatecas c’è il ranch di Desserto dove viene coltivato il Nopal, cactus estremamente resistente, tanto quanto la pelle che ne deriva, elastica e duratura più della pelle animale o sintetica e con notevoli benefici per l’ambiente.
Data la sua natura igroscopica, il Nopal assorbe l’acqua presente nell’atmosfera ottimizzando l’attività fotosintetica anche a temperature estreme. Dunque, la sua coltivazione, rinnovabile ogni 8 anni, non intacca le risorse idriche locali, usufruendo al massimo dell’acqua piovana.
La coltivazione del cactus è stata integrata a pieno nel paesaggio naturale in cui sorge il ranch, garantiscono i due inventori, senza l’abbattimento di alberi. Il Nopal è nativo della regione, la sua coltivazione rispetta la biodiversità locale, naturale stimola lo sviluppo della microflora e microfauna del terreno, sostenendo la proliferazione della fauna selvatica.
Solo le foglie mature vengono destinate alla lavorazione di Desserto. Una volta tagliate vengono essiccate al sole, senza un ulteriore consumo di energia artificiale,
Il prodotto finale è estremamente competitivo, garantendo gran resistenza e traspirazione, ma nel suo essere ecocompatibile che risiede il punto di forza. La produzione di Desserto sfrutta al meglio le risorse naturali adattandosi alle loro tempistiche, senza apportare alcun danno all’ecosistema.
Moda ecosostenibile
Dopo la vittoria del LVMH award nel luglio 2020, Desserto è entrata ufficialmente a far parte del mondo della moda grazie ad una partnership fruttuosa con il marchio del lusso.
L’alta moda da diverso tempo ha dato il via ad un cambiamento di rotta verso soluzioni più sostenibili, dapprima con timidi passi di singole case, come la ben nota Stella McCartney.
Il marchio britannico non può vantare l’uso dell’appellativo vegan a tutto tondo, dal momento che utilizza lana e cashmere, ma contribuisce con decisione al cammino della moda circolare, grazie all’uso di materiali riciclati.
Inoltre prevede l’utilizzo di lana biologica da allevamenti controllati, un’alternativa decisamente più apprezzabile rispetto all’acquisto di prodotti sintetici del tutto artificiali prodotti senza le adeguate misure di salvaguardia ambientale.
Essere acquirenti consapevoli e del tutto etici è decisamente difficile, in particolare quando gli oggetti dei nostri acquisti non sono a portata di mano e a portata di tasca.
Se la moda del lusso non è per tutti, le innovazioni nel settore dei tessuti sono in rapida crescita, ed ancora una volta la natura viene in nostro soccorso.
Dall’ulivo al tofu, passando per il mais ed i funghi, le possibilità di scelta sono enormi e sempre più prêt-à-porter, per un futuro del vestire a misura d’ambiente.

Roberta è laureata in filosofia presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, attualmente è borsista presso l’IISF di Napoli. Interessata alla ricerca per lo sviluppo di nuove tecnologie e la tutela dell’ambiente, è felice di collaborare con Atmosphera lab.