Quali prospettive per l’Occidente?
In posti come l’Ecuador, dove l’influenza indigena è molto forte anche a livello politico (molti leader, infatti, hanno origini indigene) l’inclusione dei cosiddetti “diritti della Terra” accade in modo più spontaneo, perché la concezione dell’essere umano come parte integrante della natura è già ben radicata nel pensiero dei cittadini, o per lo meno in una buona parte di loro. Come si può, invece, far applicare i diritti della terra anche nella parte del mondo occidentale, dove la dialettica uomo-natura è ancora molto forte?
Includere il non umano nei processi decisionali: l’obiettivo di Zoöp
In questa direzione si sta muovendo un gruppo di ricerca del Nieuwe Instituut, il museo nazionale per l’architettura e il design di Rotterdam: il progetto si chiama Zoöp e si presenta come un modello organizzativo alternativo al sistema capitalistico, che permetta all’umano e non umano di poter continuare a vivere sulla terra in una prospettiva a lungo termine. Il gruppo nasce da una collaborazione multidisciplinare tra architetti, designer, artisti, ma anche esperti di diritto, ecologi, economisti, per rimodellare il modo di rapportarsi tra umani e non umani.
In termini pratici, il modello Zoöp si impegna a dare voce legale al non umano, come forma di collaborazione tra le diverse specie, per far sì che siano riconosciute dalla società umana. Siccome integrare ad ampia scala un modello simile sarebbe impossibile, Zoöp è stato creato per essere adattabile a piccole realtà: istituzioni tipo scuole o musei, associazioni, piccole imprese, o semplicemente dei luoghi che vogliono migliorarsi dal punto di vista ecologico. Zoöp prevede la nomina di un “Rappresentante per i Viventi” che si faccia portavoce per il non umano nel sito che decide di applicare il modello Zoöp. Ma come fa il Rappresentante per i Viventi a capire le esigenze del non umano? Il design ci aiuta proprio in questo: sviluppa strumenti che possano aiutare il Rappresentante per i Viventi a studiare il non umano in maniera empatica, superando i freddi dati scientifici.
Il design come mezzo per avvicinarci al non-umano
Scostando la tenda verde del padiglione Olanda nella 23esima Esposizione Internazionale alla Triennale di Milano, è come varcare la soglia di un piccolo nuovo ecosistema: le scarpe scricchiolano sotto una distesa di conchiglie, l’olfatto coglie un piacevole odore di fiori secchi. Su dei tavoli di marmo sono poggiati degli oggetti, alcuni famigliari, altri mai visti prima. Due ritagli sul telo del padiglione è fatto per catturare l’attenzione del visitatore: infilandovi la testa si viene avvolti da suoni elettronici che si sovrappongono, talvolta lenti, talvolta veloci e gli occhi sono intrattenuti da delle immagini colorate, proiettate in rapida sequenza, tanto da non riuscire a distinguerne bene le forme.
Si chiama DataFusion Instrument ed è stato ideato da un gruppo di artisti della facoltà di ArtScience dell’Aia. Si tratta della traduzione grafica e sonora di tutti i dati raccolti dagli studenti all’interno di un giardino: per alcuni mesi ne hanno studiato le minime parti, raccogliendo più informazioni possibili sul non-umano che si trovava in quel pezzo di terra. Infine, hanno trasformato questi dati scientifici in arte, per poterli rendere accessibili a noi spettatori sotto forma di musica e colori.
Credits: Ph. di Cristiano Corte

Laureanda in Environmental Humanities, ha una formazione in storia dell’arte. Appassionata di arte, musica, cinema e cultura pop, si interessa di come l’ecologia e la sostenibilità vengono raccontate attraverso questi canali.