Apocalypse Now: lo speech act ecologista contro i negazionisti

Terra riscalda, epidemia impazza e i negazionisti garriscono le loro bandiere

Prologo dell’ambientalismo: Man the disturber of nature’s harmonies

«Che i vecchi morti cedano il posto ai giovani morti» recita Kundera nei suoi Amori ridicoli, “Che il vecchio Dio ceda il posto ai nuovi dei”, recita Natura, arrabbiata, a buon diritto, nei confronti del Suo Creatore che non può avere più il privilegio di trascenderla.

L’imperativo della Genesi («Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra»), non è più un imperativo morale: l’ora del parricidio è alle porte.

Terra implode e Madre Natura, Medea in potenza, oggi fa sentire la sua voce, non con indumenti intrisi di veleno invisibile, ma con un virus altrettanto letale e invisibile. L’epoca della techne – dominio incondizionato dell’uomo sulla Natura – deve giungere al suo tramonto e fare spazio a una nuova narrazione, in cui viga l’imperativo bioetico del “prendersi cura” di Natura, madre, troppo a lungo sfruttata, soggiogata, ripudiata.

Man and Nature (1864), è il testo sacro degli ecologisti. Il suo autore non è né un profeta, né un apostolo, bensì un politico: George Perkins Marsh, sepolto a lungo sotto le ceneri dell’oblio e riscoperto sull’onda della moda ambientalista.

A Marsh si deve il merito di aver osservato, tra i primi, l’intervento umano sull’ambiente da una prospettiva critica. Man the disturber of nature’s harmonies era il titolo proposto all’editore. Bisognerà attendere oltre un secolo perché le avvisaglie del politico statunitense vengano sentite, in tutta la loro cogenza, al livello globale.

Le origini del dibattito sul global warming e la contro-narrazione negazionista

L’onda lunga del negazionismo climatico ha origini lontane almeno quanto la consapevolezza che l’incremento delle temperature medie terrestri, registrato successivamente alla rivoluzione industriale, era da attribuire alle attività antropiche piuttosto che alla naturale variabilità climatica.

Agli esordi degli anni 80’ l’Organizzazione Mondiale di Meteorologia (WMO – World Meteorological Organization) risveglia la comunità scientifica dal lungo sonno industriale istituendo la Prima Conferenza Mondiale sul clima al fine di “prevedere e prevenire potenziali cambiamenti climatici causati da attività umane che potrebbero avere un effetto negativo sul benessere dell’umanità”.

La crescente preoccupazione nei confronti della problematica climatica ha portato nel 1988 alla creazione di una Commissione Internazionale sui Cambiamenti Climatici (IPCC – Intergovernmental Panel on Climate Change) – organismo intergovernativo composto da scienziati e politici – con il compito di raccogliere e valutare dati in campo scientifico, tecnico e socio-economico relativi ai cambiamenti climatici, al loro impatto ed alle possibili strategie da adottare per prevenire o limitare i loro effetti sul sistema Terra.

Il primo rapporto dell’IPPC, presentato alla Seconda Conferenza Mondiale sul Clima, tenutasi a Ginevra nel 1990, conferma la correttezza delle previsioni teoriche effettuate dalla WMO, mettendo in luce un aumento effettivo delle temperature medie terrestri.

La contro narrazione negazionista non tarda a fare il suo ingresso sulla scena: nel 1989 l’industria dei combustibili fossili fonda la Global Climate Coalition, gruppo industriale lobbistico avente come preciso obiettivo screditare la ricerca scientifica in tema di cambiamento climatico e riscaldamento globale.

La retorica spiccia della Global Climate Coalition – che si appella teorie prive di evidenza scientifica o ad argomenti ad hominem indirizzati all’integrità morale degli scienziati – apre il vaso di Pandora del negazionismo spianando la strada a creazionisti, antivax, terrapiattisti.

Lo speech act ecologista: un’arma efficace contro il negazionismo nell’era mediatica

Il dibattito sul global warming vede schierati su due fronti da circa un trentennio attivisti e negazionisti in una lotta senza esclusione di colpi.

A distanza di anni dal primo rapporto stilato dall’ IPPC si è verificata una crescente democratizzazione del dibattito – non più unicamente appannaggio di élite scientifiche, gruppi lobbistici, istituzioni intergovernative o ONG – che vede un protagonismo sempre crescente giocato da icone dell’ambientalismo militante (Greta Tunberg ne è l’esempio per antonomasia) e da attori non politici come Naomi Seibt, giovane youtuber tedesca e famosa negazionista del cambiamento climatico.

Un contributo decisivo in questa direzione è stato giocato dalla diffusione su scala globale dei social network, che se da un lato hanno svolto un ruolo attivo ed efficace di sensibilizzazione alla problematica ambientale, dall’altro hanno funto da volano di disinformazione, alimentando, in questo modo, la pericolosissima macchina negazionista.

Nell’era delle fake news, una strategia comunicativa dal forte impatto mediatico rappresenta per gli eco combattenti un’arma imprescindibile contro i negazionisti.

Lo speech act ecologista punta sulla potenza iconica delle parole servendosi di un logos non più descrittivo ma prescrittivo: «Usate emergenza, crisi o crollo climatico invece che cambiamento climatico. Usate surriscaldamento (heating) invece che riscaldamento (warming) globale. […] Usate negazionista climatico anziché scettico. […] Climate change suona piuttosto passivo e gentile quando ciò di cui parlano gli scienziati è una catastrofe per l’umanità». – recita una nota interna alla redazione del Guardian.

Apocalisse non più a venire

Cavallo di battaglia del negazionismo è la non visibilità e non individuabilità del surriscaldamento globale come fenomeno nel suo complesso, motivo per cui è legittimo e sensato tacciare di allarmismo e catastrofismo chiunque affermi il contrario.

Ebbene sì, il termometro terrestre è leggibile soltanto nelle distillerie del sapere scientifico e il cambiamento climatico globale non è un fenomeno localizzabile sulla carta geografica, tuttavia è difficile ignorare alcuni eventi che ne costituiscono degli indicatori evidenti: la destabilizzazione delle grandi calotte polari dell’Antartide occidentale, la stagione di incendi senza precedenti che il 2020 ha avuto in California e Australia e, impossibile trascurare, l’epidemia da Covid-19.

A legare crisi climatica e pandemia non è soltanto la presunzione di globalità: dati scientifici alla mano, i due fenomeni sono strettamente correlati. Il primo avvertimento in tal senso risale al 2007 e proviene dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) la quale, nel suo “The world health report”, individuava infezioni virali, batteriche o da parassita, come minacce sempre più ricorrenti connesse all’aggravarsi dei fenomeni legati al cambiamento climatico.

Un recente rapporto della World Wildlife Foundation (WWF) mette in luce come l’intervento a macchia d’olio delle attività umane sugli ecosistemi e sulle specie selvatiche, in combinazione col cambiamento climatico globale, favorisca la diffusione di patogeni e il salto di specie di questi ultimi dagli animali all’uomo.

Quella che è emersa con l’epidemia da Covid-19 è soltanto la punta dell’iceberg di una catastrofe più ampia di fronte alla quale non possiamo restare indifferenti.

Lo scorso anno Michael Shellenberger, giornalista, scrittore e noto negazionista ha scritto un libro dal titolo Apocalypse Never: Why Environmental Alarmism Hurts Us All (2020).

Gli eventi drammatici che si stanno verificando da un anno a questa parte hanno ampiamente smentito le sue asserzioni. Il surriscaldamento globale non è una catastrofe a venire, è già in atto. Agire come forza katecontica per frenare questa deriva non è più un’opzione, è la necessità.

Bibliografia:

  • Fabbri, Non siamo il mondo, in “Limes”, 12, 2020.
  • Pedemonte, Se gli scienziati fanno lobby, ibidem.
  • Ward, Quel che gli scettici non vogliono capire, ibidem.
  • Maracchi, I cambiamenti del clima e gli eventi estremi: prospettive, in Cambiamento climatico e sviluppo sostenibile, a cura di G. F. Cartei, Giappichelli, Torino, 2013.
  • Kundera, Amori ridicoli, Adelphi, Milano, 2005.
  • Gen 1, 28

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