Le piante hanno già inventato il nostro futuro
Di tutti i libri di Mancuso, Plant Revolution è quello che più si attiene alla definizione di saggio. Dal momento che, generalmente, i vegetali sono considerati unicamente per la loro diretta utilità per l’essere umano, l’autore esplora dei casi in cui determinate caratteristiche delle piante hanno ispirato innovazioni in diversi campi, tra cui l’architettura e l’ingegneria.
Ad esempio: come migliorare l’esposizione alla luce degli appartamenti di un grattacielo? Per risolvere questo problema, l’architetto Saleh Masoumi ha emulato la disposizione delle foglie lungo un ramo (fillotassi).
Oppure: come è stato possibile costruire nel 1850 una struttura colossale per la prima esposizione universale (Expo) a Londra mantenendo i costi contenuti? Dopo aver scartato 245 progetti, la proposta del botanico Joseph Paxton risultò quella vincente. Il Crystal Palace di Paxton era figlio di due intuizioni bio-ispirate: il ricorso a moduli indipendenti e la struttura radiale della Victoria Amazonica per gli archi di volta.
Infine, è dallo studio delle piante tipiche degli ambienti aridi che è nata la Warka Tower, una struttura in grado di condensare l’umidità atmosferica per ricavarne acqua potabile; un progetto che porta con sé anche un impegno sociale per le popolazioni che ne beneficiano. I casi in cui l’architettura si lascia condizionare dall’ambiente naturale si stanno moltiplicando negli ultimi anni e non tutti hanno trovato spazio nel libro di Mancuso. Tra questi vi si colloca Tecla, un progetto italiano che si propone di realizzare abitazioni con impatto ambientale quasi nullo.
Plantoidi: imitare le radici per studiare il suolo
Fin dall’antichità l’essere umano ha sfruttato la propria capacità di osservazione per imitare e riprodurre ciò che lo circonda. Come riportato anche nel secondo capitolo di Plant Revolution, la maggioranza dei progetti di Leonardo da Vinci erano ispirati dal mondo animale.
Caratteristici del 1700, invece, erano gli automi, che puntavano a riprodurre quella che al tempo era considerata l’incarnazione della perfezione: l’essere umano. Nel corso di soli due secoli, però, la fedeltà estetica dei robot ha lasciato il passo all’utilità che questi possono avere. Il termine stesso significa lavoratore, operaio.
Nelle logiche industriali – dove i robot trovano impiego – è la massimizzazione dell’efficienza l’obiettivo da raggiungere e l’uomo non è l’organismo più efficiente per svolgere determinati compiti. Ad esempio, non è in grado di esplorare il sottosuolo senza dover scavare e quindi distruggere il terreno. Per risolvere questo problema, Mancuso e la ricercatrice di microrobotica Barbara Mazzolai hanno avuto l’intuizione di creare un robot che riproducesse l’apparato radicale di una pianta. Essendo di ispirazione vegetale, l’hanno denominato “Plantoide”.
Il plantoide è dotato di un centro (il tronco) da cui dipartono una serie di cavi (le radici) dotati al loro apice di un insieme di sensori, i quali possono percepire l’umidità, il pH, la temperatura e la quantità di un determinato inquinante o nutriente. L’innovazione sta nel fatto che questi sensori rispondono allo stimolo percepito attraverso il movimento e una crescita direzionale, esattamente come fanno gli apici radicali, le estremità delle radici. In tal modo si può mappare in 3D il sottosuolo di un sito da bonificare, di un terreno agricolo o…di un altro pianeta.
E se le piante fossero alieni intelligenti?
Il cambio di prospettiva che Mancuso offre ai lettori è radicale. I suoi libri sono dei saggi, basati quindi su pubblicazioni scientifiche, ma sono caratterizzati da certe affermazioni volutamente esagerate, atte a suscitare nel lettore un cambiamento della sua percezione del mondo vegetale.
Ad esempio, in Verde Brillante vengono esplicitate le grandi differenze fra animali e piante, al punto che queste ultime possono essere concepite come “alieni intelligenti”, in quanto in grado di risolvere problemi con modalità completamente differenti da quelle a cui l’uomo è abituato.
Per quanto formalmente possano non essere corrette, tali affermazioni rompono gli schemi esistenti e smuovono le coscienze, aprendo dibattiti che altrimenti non esisterebbero. Il fatto che un ricercatore si assuma il rischio di proporre al grande pubblico nuovi modi di concepire l’ambiente circostante, anche a costo di venir frainteso e strumentalizzato dai sostenitori della pseudoscienza, è un valore aggiunto al panorama intellettuale italiano.

Con il motto: “Andrò a costruire pannelli solari”, fin dalle scuole medie si avvicina alle tematiche ambientali. Dopo aver frequentato un Istituto tecnico biologico a Vicenza, si laurea in Biologia Molecolare e poi in Biologia Evoluzionistica a Padova. Appassionato di saggistica scientifica, si propone ad Atmosphera Lab con l’intento di mettersi alla prova e scrivere di ciò che da sempre muove la sua curiosità: l’ambiente.