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  • L'inquinamento dei prodotti cosmetici

La bellezza veste verde

L’industria cosmetica si è decisa a fare un passo ambientalista

Ad immaginarsi un disastro ambientale, è facile identificare il colpevole in minacciose corporazioni e grandi commerci di petrolio impegnati a spargere distruzione nell’oceano. E se è vero che ad avere le mani in pasta sono sempre i tizi con la cravatta, è anche vero che noi per primi dimentichiamo l’importanza del nostro ruolo in quanto consumatori. Il modo in cui scegliamo di spendere i nostri soldi influenza naturalmente il mercato e la produzione. Da goffi e forse inetti economisti, potremmo banalmente chiamarla la legge della domanda e dell’offerta. Ma senza troppo perderci in intricate terminologie, parliamo un po’ di come stare attenti a quel che compriamo. Scommetto che il nemico ha già rotto le linee e infiltrato le vostre case – e ad essere onesta, chi sono io per giudicare? È davvero difficile raggiungere quell’ideale di vita priva di plastica, priva di sprechi e minimalista, che sembra venire così facile a tanti YouTuber da strapazzo. Ma è molto più facile fare la propria parte, seppur piccola, nella lotta per la sostenibilità. Detto ciò, è ora di andare a sbirciare i vostri cassetti del bagno e le vostre docce – senza darci a strane perversioni.

Perché e come inquinano i prodotti cosmetici

I cosiddetti prodotti per la cura personale riempiono le nostre vite di gioia e profumi – vale anche per te, tizio sull’autobus che si rifiuta di mettere il deodorante. E mai mi sognerei di imporvi rinuncia alcuna. Ma dobbiamo iniziare a chiederci quale sia l’impatto ambientale di tutti questi bei prodotti che portiamo a casa, a partire dal loro contenuto.

Solitamente, creme, shampoo, saponi, deodoranti e cosmetici di qualsivoglia tipo contengono sostanze chimiche altamente dannose per l’ambiente, in particolare per gli animali. Ogni volta che gettiamo un po’ di questi prodotti nello scarico del lavandino, un bel cocktail chimico di DEA, BHA, BHT e ftalati (dannosi persino per gli esseri umani) si rimescola e ridireziona verso la vita acquatica. Per non parlare dell’enorme spreco di plastica che deriva da questi prodotti. Basti pensare a tutte le bottiglie di shampoo e balsamo che una singola persona usa durante la sua vita, o al packaging dei prodotti cosmetici. E perché non menzionare anche il tanto temuto olio di palma, che si è guadagnato la sua infamia con una magistrale uscita da merendine e biscotti (piazzato in grande sui pacchi della Mulino Bianco, quasi una prerogativa sociale ormai). Rimane però presente nella maggior parte dei prodotti di bellezza. E se non ricordate perché la gente abbia cominciato a rinnegarlo, vi aiuto io: le piantagioni e la produzione dell’olio di palma contribuiscono alla deforestazione, all’inquinamento di aria ed acqua, alla moria del suolo, e al cambiamento climatico.

5 domande da porsi prima di acquistare prodotti cosmetici sostenibili

Eppure, qualcosa di magnifico è successo negli ultimi anni: le persone hanno iniziato a preoccuparsi dell’ambiente e l’industria ha cominciato a sua volta a rispondere alle nuove esigenze. Trovare un’alternativa ai prodotti da supermercato è quindi ora più semplice che mai. Tantissime grandi e piccole aziende oggi producono articoli organici, o provano almeno a diventare sostenibili e rispettare l’ambiente e gli ecosistemi. Ecco qui alcune cose da tenere a mente per scegliere il giusto brand da cui comprare:

–        Utilizzano ingredienti naturali?

–        Testano sugli animali?

–        Utilizzano packaging alternativi?

–        Partecipano ad attività filantropiche e all’attivismo sociale?

–        Sono trasparenti riguardo i loro prodotti e la loro etica?

Per citare alcuni esempi, Lush è una famosa compagnia che vende prodotti per la cura personale dal profumo ultraterreno. Sebbene non siano ancora riusciti a disfarsi di tutti i parabeni e le sostanze sintetiche, cercano da sempre di usare più ingredienti naturali possibili. Inoltre, acquistano ingredienti direttamente alla fonte, e praticano una totale trasparenza riguardo la loro produzione. Vendono i loro prodotti completamente privi di packaging e laddove necessario, utilizzano plastica riciclata dagli scarti dell’oceano, oltre ad altri ingredienti biodegradabili. Sono completamente cruelty-free, ovvero contrari ai test sugli animali, e organizzano eventi filantropici ogni anno. Un altro brand che sta acquisendo sempre più rilevanza è Espressoh, produttore di cosmetici. La compagnia ha da poco rilasciato il loro report annuale sulla sostenibilità e rinunciato ad ogni tipo di plastica riguardante il packaging. Mantiene una comunicazione aperta ed onesta con il pubblico sulla produzione e sugli ingredienti scelti, rinnegando qualsiasi cosa lontanamente nociva.

Oltre all’ambiente, ne beneficia anche il corpo

Di esempi se ne trovano a bizzeffe, ma la morale è sempre la stessa: smettiamola di sprecare il nostro tempo tra gli scaffali del supermercato, per quante mirabolanti shampoo anti-crespo ricci perfetti ci offrano. I prodotti sostenibili sono di beneficio non solo per l’ambiente, ma anche per il corpo. Anche se sembra l’affare della vita comprare una miriade di prodotti economici e promettenti, il vero affare è investire nella qualità piuttosto che nella quantità – a lungo andare, è una scelta che ripaga sempre. E mi raccomando, state attenti a tutte quelle compagnie devote al greenwashing. Brand come H&M o Pull&Bear, per quante collezioni sostenibili annuncino, non saranno mai interessate davvero a proteggere l’ambiente. Anzi, continueranno ad inquinare, guadagnare e al contempo ingannare i clienti con false promesse di sostenibilità. Di marchi del genere ne è pieno il mondo: è una dura realtà, che obbliga i consumatori a leggere i termini e le condizioni stampati in Times New Roman 10, a fare continue ricerche; ma vale sempre la pena essere un acquirente informato.

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Giada Camerra per Atmosphera lab
Giada Camerra

Giada si è laureata in Mediazione Culturale e Linguistica (Unipd) e ha conseguito un Master in Media Studies (Università di Leida). Lavora come copywriter e traduttrice freelance e come creatrice di contenuti per una piattaforma sul nomadismo digitale. Ha lavorato per Inditex e altri marchi simili per diversi anni, assistendo quotidianamente alla crudele realtà del fast fashion, cosa che l’ha motivata a partecipare ad Atmosphera lab.

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