Coppetta mestruale e perdite sostenibili
Un breve racconto sul tragico impatto ambientale degli assorbenti
I tempi che corrono
Nel 2020, volenti o nolenti, essere sostenibili è una moda. Indubbiamente il capitalismo se n’è ben approfittato dell’ondata di ecosostenibilità, come con qualsiasi altro trend mercificabile. Ma se si tratta di una buona causa, investire un po’ delle proprie finanze nel tritacarne economico non sembra poi tanto un peccato capitale. Il nuovo millennio ci ha regalato un’infinità di alternative sostenibili per rendere la nostra quotidianità un po’ più green. Tra tutte queste opzioni, una di loro sta ancora aspettando gli applausi che si merita.
Miei cari compagni di sanguinamento, lo vogliamo dare questo nobel alla coppetta mestruale? E che nessuno si scandalizzi alla parola mestruazioni come i maschietti tra i banchi delle medie dei primi anni 2000. Al di là di ridicoli tabù, un ulteriore problema coinvolge noi tutti sanguinatori periodici: il tragico impatto ambientale del mercato mestruale. La produzione di massa di assorbenti usa e getta ha rivoluzionato la nostra vita di perdite e fastidi mensili – sebbene sia giusto ricordarsi che non tutti al mondo possono disporre di tali risorse sanitarie. Ma nulla da ridire, gli assorbenti ci hanno risolto non pochi problemi. E ora come li gestiamo tutti i problemi che hanno invece creato?
Cosa ci nascondono?
Gli assorbenti esterni ed interni contengono una discreta quantità di plastica: le loro meravigliose ali, i soavi applicatori, per non parlare del loro involucro – tutta plastica. Se poi si pensa a tutti quegli amici e famigliari inconsulti che gettano gli assorbenti nel wc, l’unica cosa che rimane da dire è cambiate giri. Inoltre, pare di assoluta importanza all’ordine del giorno che le proprie secrezioni profumino di lavanda e limoni: via libera quindi al cocktail chimico di fragranze e le speciali edizioni di assorbenti dalle confezioni multicolor. Sia mai che disturbiamo il vicino di posto con le nostre maleodoranti, umanamente naturali perdite.
Le soluzioni a portata di mano
Un’analisi di National Geographic ci rivela che un singolo sanguinatore utilizza dalle 5 alle 15 migliaia di assorbenti nella sua vita. Non serve essere dei Russell Crowe alla Beautiful Mind per calcolare l’incredibile quantità di spazzatura che ne deriva. Dico davvero, non ti serve essere un genio per capire quanto di meglio ti può offrire il mondo della sostenibilità. Ci sono diverse alternative ai tradizionali assorbenti: ad esempio, gli assorbenti lavabili e riutilizzabili (un po’ gli antenati del metodo “pezza nelle mutande”) sono strumenti non invasivi ed ecologici per gestire le proprie perdite. E se vuoi imborghesire il tutto, in commercio ci sono persino delle comode mutande studiate apposta per contenere il flusso mestruale e altri tipi di perdite.
Ma la vera star dello show è solo una: la coppetta mestruale. Questa incredibile invenzione è forse la scelta più ecosostenibile che tu possa fare. Le coppette sono fatte di gomma, silicone o lattice, e possono durare fino a 10 anni. Un periodo di vita considerevole, se si pensa inoltre che una coppetta costa in media 20 euro. E’ un oggettino fenomenale, a bassa manutenzione: basta poca acqua per tenerla pulita, il che va persino a tagliare ulteriori sprechi.
Ridurre lo spreco di plastica è una vera passeggiata se si opta per alternative ecologiche ed egualmente valide. Ma molte persone non sono a conoscenza né dell’esistenza né dell’efficacia delle diverse soluzioni in commercio. Per questo è fondamentale spargere la voce ed incoraggiare un sano flusso di informazione sulle alternative sostenibili: le coppette mestruali possono apparire complicate e terrificanti da usare a chi le approccia per la prima volta. In realtà, si tratta di un metodo semplice, sicuro, nonché conveniente, sia dal punto di vista economico che ambientale. Qualsiasi azione quotidiana ha un enorme impatto sul pianeta: persino il tuo progressivo sanguinare per quasi 40 anni di vita può trasformarsi in un’efficace soluzione.

Giada si è laureata in Mediazione Culturale e Linguistica (Unipd) e ha conseguito un Master in Media Studies (Università di Leida). Lavora come copywriter e traduttrice freelance e come creatrice di contenuti per una piattaforma sul nomadismo digitale. Ha lavorato per Inditex e altri marchi simili per diversi anni, assistendo quotidianamente alla crudele realtà del fast fashion, cosa che l’ha motivata a partecipare ad Atmosphera lab.