Arte e sostenibilità: tra tragedia e resilienza
Il ruolo attivo ed essenziale dell’arte nel mondo d’oggi
Il Climate Clock, l’orologio climatico
L’arte è impegnata nel sociale? E tu lascia che lo sia. Oggi più che mai abbiamo bisogno di un alleato nella lotta contro i disastri che l’umanità stessa infligge al pianeta. E quale alleato migliore dell’arte, lo strumento di rappresentazione per eccellenza.
Se si pensa a tutte le battaglie ancora da vincere in ambito ambientale, non è una gran sorpresa che l’arte si dia alla denuncia pubblica. Cavalca infatti quel sentimento odierno che spinge le persone a svegliarsi dal torpore: non c’è scampo dalla realtà che creiamo per noi stessi, e non c’è più tempo per soffermarsi sui lati positivi di tale realtà.
Lo scorso settembre, un orologio gigante è comparso a Union Square, New York. Il Climate Clock, o orologio climatico, è, a scapito delle apparenze, un’opera d’arte: di certo non un capolavoro pronto a stupire o lasciare il pubblico mozzafiato, né un’installazione che grida disperatamente l’incombente fine del mondo.
Non è che abbiamo esaurito il tempo, in fondo; è che il nostro tempo per cambiare il mondo è limitato – precisamente, a meno di 6 anni. E mentre continuiamo a vagare per il pianeta illesi, una bomba ad orologeria scandisce ogni nostro passo.
ArtVerona, premio all’arte sostenibile
L’arte e i problemi ambientali hanno trovato una dimensione tutta loro, creando un dinamico duo ampiamente riconosciuto dal pubblico – tanto che ArtVerona vi ha dedicato un’intera categoria. Ogni anno, ArtVerona conferisce un premio all’Arte Sostenibile: nel 2018, se lo aggiudicò l’artista scozzese Gayle Chong Kwan. Gayle poté quindi collaborare ad un progetto chiamato “Waste Matters”, incentrato sulla riflessione dei consumi quotidiani e dell’impatto ambientale di questi.
Non è né la prima né l’ultima volta che Gayle si è occupata di esplorare i tragici effetti della società sulla natura: nel 2019, Gayle ha creato un’opera chiamata Wastescape. L’artista ha continuato a considerare i rifiuti non come fine, ma come mezzo: lo scarto poteva quindi essere trasformato sia in oggetto d’arte sia in importante messaggero.
Gayle ha così raccolto oltre 6000 contenitori di latte vuoti, in plastica, per ricreare un paesaggio surreale di stalattiti e stalagmiti, forme emergenti dal soffitto, dagli angoli, dalle pareti. Wastescape si ergeva a chiara denuncia degli effetti dell’industria casearia in Nuova Zelanda, e delle loro continue, massicce emissioni di anidride carbonica.
Il Survival Architecture and the Art of Resilience
L’arte può essere un violento manifestante o un mediatore stravagante. Con il mondo che cambia a vista d’occhio, l’inquietante sensazione di un’incombente apocalisse si fa sentire sempre più forte. Città e governi si ritrovano oggi costretti ad affrontare il cambiamento climatico e le mutazioni dell’ecosistema, riorganizzando paesaggi e strutture e rincorrendo a soluzioni efficienti.
In alcune parti del nostro pianeta, la pesca e l’allevamento sono ad alto rischio proprio a causa di tali cambiamenti, l’acqua si prosciuga o diventa una terrificante morsa pronta a sommergere abitazioni e palazzi. E laddove i governi non sono arrivati a pianificare brillanti stratagemmi, artisti ed architetti si sono sforzati di dire la loro, contribuendo al Survival Architecture and the Art of Resilience.
Questa esibizione a tema sopravvivenza ti guida tra rifugi improvvisati a forma di distopici grilli, capsule di emergenza, città ecologiche fluttuanti e cappotti ultraresistenti fatti di materiale riciclato. La sensazione che emana l’esibizione è un curioso mix di disperazione e speranza; di certo, queste geniali soluzioni all’apocalisse contribuiscono a risvegliare nel pubblico l’urgenza di agire nell’immediato. Vero, è sempre bene essere preparati; ma è davvero ad un mondo del genere che vogliamo preparaci?
Olafur Eliasson, utilizzare l’arte sostenibile per combattere l’indifferenza
Forse il modo migliore per scuotere le coscienze è riconnettere l’uomo all’ancestrale natura. Uno dei più famosi artisti al mondo, Olafur Eliasson, si dedica a plasmare proprio questa dinamica in ogni suo opera d’arte.
Olafur ha sempre mostrato la sua sensibilità per le mutazioni ambientali, incorporando la sostenibilità non solo nelle sue opere finali, ma anche nel processo stesso di creazione. Nel 2018, l’artista ha piazzato giganteschi blocchi di ghiaccio in mostra, a Londra, pescandoli dal mare dopo che questi si erano staccati dal ghiacciaio della Groenlandia.
L’opera sarebbe ovviamente vissuta ben poco, destinata e lasciata a sciogliersi, ma il messaggio che lanciava riecheggiava forte nell’aria. Olafur voleva spingere il pubblico a combattere l’indifferenza, l’apatia, a toccare il ghiaccio e a danzare su di esso, riscoprendo il sacro legame con la natura.
Forzando la narrativa del cambiamento climatico nella concretezza e vicinanza del presente, Olafur sperava che “ci accorgessimo che insieme abbiamo il potere di fare scelte individuali e pretendere un cambiamento sistematico”.
Ma è con la sua esibizione successiva, Sometimes the river is the bridge, che le dinamiche sostenibili legate al mondo dell’arte divengono arte stessa. Olafur e il suo team hanno creato una vera e propria guida mirata a migliorare l’impatto ambientale connesso all’arte e all’ organizzazione di mostre.
Oltre a selezionare opere fatte con materiale riciclato, hanno continuamente registrato e aggiustato i livelli di emissioni che il loro lavoro di curatori e d artisti provocava: “lo scopo era quello di esaminare quello che facciamo sotto ogni aspetto, dalla gestione dei rifiuti, alla produzione, dalla pianificazione dei progetti, ai viaggi che compiamo in diversi paesi, per portare tutto qui”.

Giada si è laureata in Mediazione Culturale e Linguistica (Unipd) e ha conseguito un Master in Media Studies (Università di Leida). Lavora come copywriter e traduttrice freelance e come creatrice di contenuti per una piattaforma sul nomadismo digitale. Ha lavorato per Inditex e altri marchi simili per diversi anni, assistendo quotidianamente alla crudele realtà del fast fashion, cosa che l’ha motivata a partecipare ad Atmosphera lab.