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Stagionalità e produzione locale: il sistema di produzione alternativo dell’Alveare che dice Sì!

L’azienda propone un modello decentralizzato che premia i produttori e crea comunità

14/02/2025

Le ingiustizie della GDO

La Grande Distribuzione Organizzata (GDO), ovvero la vendita dei prodotti tramite i supermercati, presenta diverse problematiche. Tra queste, lo spreco di frutta e verdura scartate perché non conformi a specifici standard “di bellezza”, i trasporti – e la conseguente impronta in termini di CO2 – di prodotti che a volte provengono dall’altra parte del mondo, il misero guadagno – a volte 30 centesimi al chilo contro una vendita a 2,50 – dei produttori.

È per contrastare queste ingiuste retribuzioni che è nato l’Alveare che dice Sì!, azienda di origine francese che ha creato un sistema alternativo, che favorisce sia il guadagno dei produttori, sia la creazione di comunità, dette appunto “Alveari”, dove la distribuzione avviene in modo diretto. Per saperne di più, abbiamo parlato con Luca Arenella, community manager dell’azienda per l’Italia.

Ciao Luca! Ci spiegheresti in che cosa consiste il progetto “L’Alveare che dice Sì!”?

L’alveare è un’azienda che nasce come startup nel 2014 in Italia. È legato a un altro progetto nato in Francia nel 2011, che porta avanti l’idea di un sistema di filiera corta, alternativo alla GDO. Questo progetto ha come obiettivo quello di mettere al centro i produttori. Il problema della GDO è che la remunerazione del produttore è molto più bassa, perché vengono imposti prezzi che a volte sono addirittura inferiori ai costi di produzione. Per questo motivo, qualche anno fa c’era stata la manifestazione degli allevatori di vacche da latte “Mai più sotto un euro”, in cui veniva gettato il latte per strada per protesta. Ci sono poi state altre manifestazioni contro la politica agricola comune (PAC) dell’Unione Europea, e le proteste “dei trattori”.

Quando nacque l’Alveare, dieci anni fa, era ancora un momento in cui la questione della sostenibilità e della filiera corta erano ancora un po’ agli albori nell’opinione pubblica e nella discussione politica in generale. Il progetto ha avuto una grande risonanza, soprattutto all’inizio. In Francia fecero un’uscita in TV che creò molta curiosità.

Come è organizzata l’azienda?

L’Alveare si basa su un sistema decentralizzato. Sono i produttori a vendere direttamente le loro merci. Noi mettiamo a disposizione una piattaforma on-line, un vero e proprio e-commerce, dove il cliente può acquistare direttamente dal produttore e andare poi di persona all’Alveare, che sarebbe il punto di ritiro della spesa.

Questo permette innanzitutto di ridurre al minimo gli sprechi, perché verranno consegnati soltanto i prodotti acquistati dagli utenti. Non c’è un invenduto che si trasforma in spreco. Le vendite si chiudono due giorni prima dell’effettivo ritiro per permettere sia ai produttori, che devono preparare la merce da consegnare, sia ai gestori, che sono l’altro anello del sistema, di organizzare queste vendite.

Quindi, chi fa parte dell’azienda?

Ci sono tre attori principali del nostro modello: l’Alveare Madre, che siamo noi che gestiamo la piattaforma e ci occupiamo della comunicazione, i produttori e i gestori.

La figura del gestore fa da connessione tra i produttori e i clienti. Il gestore si occupa di cercare un luogo in cui effettuare il ritiro delle merci acquistate online, creare una vera e propria comunità di persone che poi faranno la spesa e occuparsi in prima persona della comunicazione, anche on-line, del proprio alveare. Quindi ogni gestore si occupa di una pagina Facebook o Instagram del proprio alveare, oltre alla comunicazione che avviene via mail o via broadcast. È una gestione decentralizzata: non siamo noi a gestire direttamente gli alveari. Ci ispiriamo ai GAS, i Gruppi di Acquisto Solidale.

È possibile diventare gestori? Come?

Sì certo, stiamo appunto cercando nuovi gestori, è possibile dare la propria disponibilità qui. Il compito principale dei gestori è trovare un luogo dove distribuire nel loro quartiere e per un paio d’ore a settimana rimanere in compagnia dei produttori durante le consegne. È anche un’opportunità per incontrare e conoscere i produttori, con un contatto diretto. Durante la distribuzione, il gestore cerca di animare quel posto, renderlo un punto di connessione tra i vari membri della comunità. Per questo lavoro, il gestore riceve una quota pari al 12%. All’Alveare Madre, cioè a noi, per le spese di gestione della piattaforma, va il 13%. Tutto il resto (75%) va al produttore: una cifra molto più elevata di quello che potrebbero ricevere con la GDO.

Quanti produttori coinvolgete oggi e in quali parti d’Italia?

Attualmente siamo più diffusi tra Piemonte e Lombardia. Abbiamo qualche Alveare anche in Toscana e in Emilia-Romagna. Spesso è più semplice trovare persone in città. L’anno scorso abbiamo avuto circa 160/170 Alveari attivi in tutta Italia, per circa 800/1000 produttori attivi (anche se poi quelli della rete sono di più). Nel 2019 abbiamo superato la barriera dei 100.000 iscritti al sito. Ci fu un grande boom durante il periodo del Covid perché probabilmente era più semplice per le persone fare la spesa online, non andando al supermercato. Poi c’è stato un consolidamento e adesso siamo in un periodo di stabilizzazione. Durante il 2024, abbiamo cercato di lavorare sugli Alveari già attivi, mentre da quest’anno stiamo cercando di nuovo di espandere un po’ la rete.

Abbiamo inoltre lanciato nel 2024 – l’anniversario dei 10 anni – una campagna di attivismo positivo, con l’obiettivo di raccogliere firme tramite una petizione per mettere al centro i produttori, soprattutto con le nuove norme europee, promuovendo la sostenibilità ambientale e le piccole aziende. Il nostro mantra è sostenere la produzione locale, non importare da lontano. I nostri punti fermi sono due: stagionalità e prodotti locali. I nostri prodotti in media viaggiano 60km per arrivare alla tavola dei consumatori.

L’Alveare è presente anche in altre aree d’Europa?

L’Alveare parte dalla Francia – “La ruche qui dit oui” – ma esiste anche in Germania, Spagna, Paesi Bassi, Belgio, Svizzera. La rete più grande si trova in Francia, ma l’Italia in questo momento è al secondo posto, poi viene la Germania.

Come trovate nuovi acquirenti?

Abbiamo delle campagne di comunicazione centralizzate, siamo attivi su Instagram e Facebook, dove pubblichiamo post tematici, come ricette o riflessioni sulla produzione sostenibile, dando anche spazio e visibilità ai produttori. Facciamo poi campagne su Google e sui servizi di Meta. Viene poi anche il lavoro del gestore, che si muove in autonomia con la sua comunità locale.

Che quindi mette in connessione le persone…

Sì, esatto. La forza è proprio nella decentralizzazione: ciascuno, conoscendo il proprio quartiere, può creare la propria comunità. L’idea è che il momento della distribuzione si trasformi in un’occasione di convivialità e di scambio. Il Covid ha fatto inizialmente crescere il progetto; d’altra parte, non sempre c’era disponibilità perché alcune persone erano assenti. Ora stiamo cercando di ricostruirlo.

Su Instagram ho visto che ogni mese mettete le immagini della frutta e della verdura di stagione. La trovo un’idea semplice ma geniale e simpatica. Sai dirmi chi l’ha pensata?

Questo format esiste da almeno 6/7 anni, non ti so dire esattamente chi è l’illustratore o illustratrice. Ma sicuramente è partita dalla Francia. Anche oggi abbiamo una designer che aggiorna le grafiche periodicamente e viene dalla Francia. Anche l’immagine del brand, la casetta gialla, è stata creata all’interno di un team francese.

L’Alveare che dice Sì….a che cosa dice sì?

Beh, dice sì alla produzione locale e sostenibile. L’idea dell’Alveare è quella della collaborazione tra i produttori e i consumatori. E diciamo di sì a un modo di consumare e di produrre diverso da quello più diffuso.

Tre parole chiave per dire quali sono i vostri punti forti?

Stagionalità, produzione locale e produzione sostenibile. Questi tre concetti sono alla base del nostro modello. 

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Elena Colombo

Laureata in Lettere (UniMi), attualmente studia Environmental Humanities (UniVe). Affamata di storie, ama scrivere di ambiente e lasciarsi provocare dalle idee delle persone. Determinata e scrupolosa, le piace andare oltre l’apparente superficialità dei fatti. Il suo luogo sicuro è la biblioteca, ma non fatevi ingannare: non è mai puntuale nella restituzione dei libri.

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