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La rivoluzione di Good on You

L’industria della moda adotta il rating etico

22/07/2024

Come vestirsi nel rispetto del Pianeta?

Un crescente numero di persone si sta orientando sempre più verso scelte di vita sostenibili. Si presta attenzione ai consumi di acqua, si evitano gli sprechi alimentari, si sceglie di spostarsi in bici o con i mezzi di trasporto pubblici piuttosto che in macchina. Ma come comportarsi quando si tratta di selezionare capi di abbigliamento che non impattino negativamente sull’ambiente?

In nostro aiuto viene il mondo digitale che si sta strutturando in maniera tale da offrirci gli strumenti necessari a districarci nell’oceano chiamato cambiamento climatico, grazie ad applicazioni che vendono prodotti usati (vedi Vinted) e a quelle che consentono un vero e proprio baratto di vestiti senza implicazioni di costi (si pensi a Declout). 

Un’innovazione alquanto recente e sempre più accattivante per il pubblico viene tuttavia da Good on you, un’applicazione nata con l’intento di offrire una valutazione etica dei brand su scala globale, al fine di indirizzare le scelte di acquisto di tutti quei consumatori consapevoli.

Che cos’è Good on you?

Lanciato sul mercato nel 2015, Good on you prende le mosse dal disastro di Rana Plaza del 24 aprile 2013: l’edificio di nove piani ospitante sei fabbriche crollò, comportando la morte di oltre mille persone e 2500 feriti circa.

La catastrofe smosse la coscienza comune e portò ad una profonda riflessione sulle condizioni dei lavoratori dell’industria tessile.  La Digital Marketing & PR Manager Solene Rauturier e il cofondatore Gordon Renouf si resero conto di non poter essere più testimoni silenti di un simile sfruttamento e si ingegnarono per proporre una soluzione che coinvolgesse acquirenti di tutto il mondo. Da qui la proposta dell’app.

In un’intervista rilasciata a l’Officiel Italia  nel 2021, sintetizzano così il goal da raggiungere: «Good On You è stato lanciato nel 2015 con la volontà di aiutare gli acquirenti a fare scelte sostenibili nel modo più semplice possibile. Abbiamo iniziato Good On You perché sappiamo che sempre più persone vogliono assicurarsi che le loro scelte di moda facciano del bene piuttosto che trattare ingiustamente i lavoratori e causare danni all’ambiente e agli animali. Raccogliamo fino a 500 dati per marchio su più di 100 questioni chiave di sostenibilità, indicatori e sistemi di standard, tra cui Fair Trade, Cradle to Cradle, OEKO-TEX STeP e il Global Organic Textile Standard. Laddove disponibili, inseriamo dati rilevanti da fonti terze come il Fashion Transparency Index e i progetti CDP Climate Change e Water Security».

L’attenzione quindi parte da un sentito riguardo verso alle condizioni dei lavoratori e si addentra poi nel complicato terreno del mondo fashion a 360°, con lo scopo di difendere il benessere degli animali nelle fasi di produzione e vendita di prodotti tessili e di sensibilizzare i clienti a riguardo.

Come Good on You orienta il consumatore 

Da una progettazione alquanto intricata, la fruizione dell’app è, in realtà, semplice ed intuitiva. 

Una volta scaricata l’app è  sufficiente digitare il capo d’abbigliamento o, ancora meglio, il nome del brand di interesse e questo comparirà puntualmente valutato secondo i tre parametri cardine (persone, animali e pianeta) restituendoci il verdetto finale sotto forma di una scala che va da 0 a 5 punti, dove il primo equivale a “Noi lo evitiamo” mentre il secondo significa “Eccellente”. 

Chi, e soprattutto, in che modo è giunto a tale verdetto? 

La premessa è la preparazione delle persone coinvolte: nel lavoro sono infatti implicate 12 menti con competenze disparate, da analisti scientifici a sviluppatori, fino a creatori di contenuti, che collaborano da tutto il mondo in nome della sostenibilità in ambito fashion.

Di solito i marchi vengono segnalati dagli utenti ma accade più spesso del previsto che siano le aziende di moda stesse a contattarli e domandare loro di essere “giudicate”.

Quali brand non hanno superato la prova?

Un’indagine durata un anno ha portato alla luce alcuni scheletri nascosti negli armadi di marchi fautori della fast fashion. Stiamo parlando di nomi noti, quali Zara e H&M. Entrambe le aziende  sono infatti risultate essere complici del processo di deforestazione in Brasile, in particolare nella zona del Cerrado, un’ecoregione ricca in flora e fauna: nel periodo di tempo che va dal 2014 a 2023, da qui sono state prelevate tonnellate di cotone dirette verso l’Asia, dove sarebbero state lavorate e, quindi, vendute in un secondo momento in Inghilterra, Europa e Stati Uniti.

Oltre a macchiarsi dell’onta di sfruttare i lavoratori della zona, i due brand hanno creato un danno ambientale tale da distruggere migliaia di ettari di terreni agricoli sudamericani.

Il governo brasiliano sta prendendo provvedimenti circa le ingiustizie sottese alla catena di produzione dei vestiti tuttavia, parte della responsabilità, nasce dalla consapevolezza dei nostri acquisti, come tiene a precisare Good on you in un post su Instagram appositamente dedicato a questa triste ma reale ricostruzione di eventi.

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Sofia Martino

Laureata in Giornalismo, Cultura Editoriale e Comunicazione Multimediale presso l’università di Parma, adora interfacciarsi con realtà sempre nuove. Aspirante viaggiatrice, ha un occhio di riguardo per l’ecologia e i diritti umani. In Atmosphera Lab ha trovato un valido alleato per comunicare ciò che più le sta a cuore.

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